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Terrorismo

 

L’analisi del fenomeno terrorismo richiede innanzitutto una precisa definizione dell’oggetto di studio. Molteplici, infatti, sono state e sono le accezioni con cui tale concetto storico-politico è utilizzato. Donatella Della Porta, nell’opera Il terrorismo di sinistra¹, circoscrive il terrorismo a «un’attività di quelle organizzazioni clandestine di dimensioni che, attraverso l’uso continuato e quasi esclusivo di forme d’azione violenta, mirano a raggiungere scopi di tipo prevalentemente politico».

Quindi si parla di terrorismo se l’organizzazione:

  • non è legale;

  • è di dimensioni ridotte;

  • utilizza forme di azione violenta (omicidio, gambizzazione e attentato in un luogo pubblico);

  • non ha scopo di lucro, ma si muove contro lo Stato considerandolo delegittimato; essa ha quindi fini politici.

 

Storicamente in Italia si sono registrate due forme di attività terroristica distinte in base alla matrice politico/ideologica: terrorismo nero (destra eversiva) e terrorismo rosso (sinistra rivoluzionaria). Le due tipologie sono accomunate dall’uso della violenza e dall’essere inquadrate sotto lo stesso profilo giuridico. Tuttavia sussistono forti diversità:

il terrorismo rosso opera sostanzialmente con attentati rivolti a ferire (gambizzazione) o uccidere singole personalità; l’uso intimidatorio della violenza è sempre mirato e si accompagna ad un intento didattico-punitivo («colpiscine uno per educarne cento»). Per questo le azioni brigatiste vengono sempre rivendicate.

Il terrorismo nero ha adottato la strategia dello “sparare nel mucchio” è perciò anche definito terrorismo stragista. Il bisogno di azione della destra eversiva resta dominante rispetto alle idee che elaborano, quindi non rivendicano le loro azioni.

 

Il terrorista si pone quindi in netta antitesi con l’autorità dello Stato, a cui normalmente nega il diritto di essere considerata legittima. Il rapporto tra terroristi e Stato ruota infatti sulla base di una reciproca delegittimazione. Quest’ultimo infatti considera il terrorista, dal punto di vista giuridico, come un criminale che viola le leggi fondamentali del vivere civile. Nonostante questo comportamento miri ad un ribaltamento del sistema politico, esso viene visto dalle autorità statali solo come una possibile aggravante, ma non varia il carattere anticostituzionale dello stesso. Il terrorista, invece, considera la Stato come un’entità contro cui combattere, poiché questo ha perduto la sua legittimità, ed è garante di relazioni socio giuridiche ritenute illegali.

 

¹ D. Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, 1990

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