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Comunicati del sequestro Moro

Durante i 55 giorni del sequestro Moro le Br recapitarono nove comunicati in cui spiegavano i motivi del sequestro. Le Brigate Rosse proposero di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi imprigionati , (Comunicato n.8). Accettarono anche di scambiare Moro con un solo brigatista incarcerato, anche se non di spicco, pur di poter trattare alla pari con lo Stato. Ebbero un riconoscimento da papa Paolo VI (amico personale di Moro), il quale, il 22 aprile 1978, rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava «in ginocchio» gli «uomini delle Brigate Rosse» di rendere Moro alla sua famiglia ed ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò dovesse avvenire «senza condizioni». La politica si divise in due fazioni: il "fronte della fermezza", che rifiutava qualunque ipotesi di trattativa, ed il "fronte possibilista" (che comprendeva anche Bettino Craxi), per il quale un eventuale avvicinamento analitico all'ipotesi di trattativa non avrebbe indebolito la dignità dello Stato. Prevalse comunque il primo orientamento, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell'ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi. Tuttavia è bene sottolineare due elementi fondamentali: a) vi furono perlomeno due trattative segrete condotte dalla Santa Sede e da esponenti del Partito socialista per liberare Moro; b) furono le Br a denunciare l’esistenza di trattative segrete obbligando il ceto politico a rifiutare, peraltro ovviamente, una trattativa pubblica.

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