Progetto di Storia Contemporanea
Anno scolastico 2015/2016
Storie militanti BR
«Mi dichiaro prigioniero politico»: questa è la frase di rito che un esponente delle Brigate Rosse pronuncia in caso di cattura da parte delle forze dell' ordine. Dicendo ciò egli dichiara di far parte di un'organizzazione clandestina e di non volersi sottomettere ai regolari processi della magistratura. Un prigioniero politico non accetta avvocati e non ha niente da dichiarare in tribunale, poiché non riconosce come legittime le strutture giuridiche dello stato borghese. Soltanto chi si dichiara pentito fornisce informazioni utili alla magistratura inquirente in cambio di uno sconto di pena e dell'attenuazione delle ferree regole del carcere speciale.
Il destino per chi aderisce alle Br si riduce a tre opzioni: morire durante un conflitto a fuoco, essere condannato a scontare lunghi anni di prigionia oppure darsi alla latitanza.
Nel testo di Bianconi¹ sono presentate sei differenti storie di militanti delle Br.
“Appena due anni prima del delitto Croce, la sera del 16 giugno 1975, proprio Angela Vai e Lorenzo Betassa sono in piazza a festeggiare la vittoria del Pci alle elezioni comunali e la nomina di Diego Novelli a sindaco di Torino”
Angela Vai ha un passato da militante e attivista del Pci prima dell’arruolamento nelle Brigate Rosse nel 1976. Nel 1977 guida il comando armato che uccide l’avvocato Fulvio Croce.
<<Si chiama Patrizo Peci. Angela lo conosce bene, e quando in carcere sente dire che proprio lui sta stilando interminabili liste di brigatisti da consegnare ai carabinieri, pensa che sia una mossa psicologica per convincere lei e gli altri alla resa. [...] Invece è tutto vero , e saranno proprio le confessioni e le accuse di quel compagno a spalancare per Angela le porte del carcere a vita.>>
¹ Giovanni Bianconi, Mi dichiaro prigioniero politico storie delle brigate rosse, Einaudi, 2003, p.57, p.89-90